Musica e cinematografo. Un connubio difficile

IDENTIFICAZIONE

Tipologia
materiale a stampa
Tipologia specifica
spoglio
Segnatura precedente
FM-2016-224

INFO PUBBLICAZIONE

Contenuto in (periodico)
Numero/Annata
1943, XVI, n. 1
Pagina
43-49
Luogo di pubblicazione
Firenze
Editore
Le Monnier

RESPONSABILITÀ

autore

CONTENUTO

Abstract
Lo spunto iniziale del lungo intervento nasce da un precedente articolo di Gianandrea Gavazzeni, pubblicato su «La ruota», intitolato "Un connubio impossibile". Per dimostrare che il "connubio" tra musica e cinema era "difficile", ma non impossibile come aveva sostenuto Gavazzeni, d'Amico si sofferma sulla possibilità di individuare puri valori musicali all'interno del film: validi di per sé e capaci allo stesso tempo di incidere efficacemente nell'opera cinematografica. Una difficile ricerca che non poteva essere risolta facilmente nemmeno con la musica diegetica che, pur avendo un rilievo «incomparabilmente maggiore di quello della musica 'di commento'», non è percepita per la qualità che ha in sé, ma solo per la relazione che stabilisce con il montaggio, ovvero il «ritmo» e la «misura» del «racconto fotografico». Per d'Amico il cinema è sostanzialmente una "non arte" a cui non è impedita la possibilità di essere legata ad una vera arte come la musica. Nel discorso teorico si fa menzione esplicita alle argomentazioni di Rudolf Arnheim che dà grande importanza ai problemi della percezione e relega la musica ad una costante condizione di subalternità nella gerarchia percettiva del film. Con le teorie del teorico tedesco, inoltre, d'Amico riesce a dare un fondamento teorico alla sua antipatia nei confronti del cinema, «giacché da un punto di vista psicologico il semplice fatto della fotografia e del montaggio dà almeno l'apparenza di un'elaborazione formale assoluta: e dunque tutto ciò che si ascolta […] passa fatalmente in posizione ausiliaria». Quindi, suo malgrado, «il film più scadente è più attraente della musica più bella». D'Amico si sforza, dunque, di indicare «un margine di lavoro per il musicista» e sceglie come soluzione quella di utilizzare la musica «come componente materiale […] dello scopo cinematografico», ovvero di porre l'elemento musicale, con i suoi autonomi valori, al servizio delle esigenze del film. Individua quindi gli ambiti nei quali al compositore è richiesto «un grado di intelligenza più notevole del solito». Innanzitutto, «quando alla musica si richieda un compito caricaturale comico», attraverso una «parodia di un dato stile musicale» o come nel balletto e nei cartoni animati, tramite una «stilizzazione minutamente aderente ai singoli gesti della visione». Tutte situazioni per cui non era «richiesta buona musica in senso assoluto», come lo dimostrano le musiche dei film sonori di Charlie Chaplin e la partitura di Auric per A nous la liberté. Di qualità ben diversa può essere, invece, quella musica che, per mezzo della «coerenza di tono», riesca a creare «un sottofondo continuo che, pur non accaparrando interamente l'attenzione dello spettatore, penetri insensibilmente nelle sue sensazioni e costituisca un punto di riferimento stabile di evocazione: in pratica, un elemento non trascurabile nell'economia del film, e, quel che è più notevole, raggiungibile solo attraverso una certa impostazione stilistica, ossia attraverso valori fino a un certo segno schiettamente musicali». Indica come esempio riuscito le musiche composte da Vincenzo Tommasini per "Un colpo di pistola", considerate, insieme a quelle di "Acciaio" di Malipiero, come «i due migliori commenti musicali di film italiani». Termina il suo intervento con una sorta di vademecum per quei compositori che, accingendosi a comporre musica per film, desiderano trarne giovamento per la loro carriera. Per d'Amico, si tratta di sottoporsi ad un impegno di «semplificazione», «per la già provata difficoltà della musica d'arrivare allo spettatore, per la simultaneità d'altre presenze nella colonna sonora, per l'imperfezione tecnica della registrazione o degli apparecchi di riproduzione. Impossibili quindi i frammentismi, i "particolari", i colori complessi o preziosi, i rapporti armonici ardui, gl'impianti formali non elementari. A parte ogni impegno di stilizzazione, di avvio al balletto o simili, risultati d'arte […] sono possibili solo attraverso pezzi dalla struttura immediata e semplice, dall'orchestrazione solida e semplice, dalla tematica incisiva e semplice, dall'armonia evidente e semplice. Bisogna poter afferrare tutto un pezzo da un momento qualsiasi preso a caso, come s'assaggia il vino d'una botte da un sorso solo». Infine, nel suo sforzo di indicare una strada per stabilire un connubio possibile tra musica e cinema, d'Amico invita questo ideale compositore di partiture cinematografiche a «ridurre la propria arte ai propri moti più elementari» e ad abituarsi «all'esercizio di lavorare su commissione, ossia l'umile e moralissimo esercizio dell'obbedire».

CHIAVI DI ACCESSO

Persone
Film